Parole che aprono i tuoi occhi al mondo
Il progetto
Con il cofinanziamento dell’Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, vinto grazie al bando 8x1000 del 2014, abbiamo costruito un progetto che è durato un anno intero: donne e uomini che hanno aiutato altri uomini, chiusi in un universo interamente maschile, privati della libertà personale e a volte protagonisti di crimini orrendi, a trovare nella scrittura e nel linguaggio del corpo un canale alternativo alla mera fisicità istintuale per gestire situazioni di conflitto. A contribuire a elaborare un passaggio intermedio tra le più frequenti cause scatenanti della violenza di genere (rifiuti, tradimenti, abbandoni) e gli effetti, spesso tragici. A scoprire, in fondo, il potere dell’empatia, che diversi studi nel campo delle neuroscienze riconoscono più tipico della risposta cerebrale femminile.
Il libro
Come traccia di quanto vissuto e raccolta dei testi scritti dai partecipanti al laboratorio di scrittura abbiamo deciso di pubblicare un piccolo libro, che raccontasse la scelta di offrire in dote la scrittura e il teatro come mezzo di liberazione, nel solco delle tante esperienze maturate nelle carceri italiane nell’ultimo mezzo secolo. Ma al mezzo abbiamo aggiunto un fine: usare la parola scritta o recitata, analizzata e condivisa, per costruire un nuovo logos relazionale che, attingendo dal patrimonio sterminato e ancora così poco diffuso in Italia degli studi di genere e delle riflessioni femministe, potesse contribuire a prevenire la violenza contro le donne.
Parole che aprono i tuoi occhi al mondo si apre con la prefazione di una delle professioniste della parola intervenute nel corso del laboratorio di scrittura, la scrittrice e traduttrice Gaja Cenciarelli a cui segue l’introduzione della nostra presidente Manuela Perrone. Manuela ha scritto anche i primi due capitoli: sintetizzando nel primo le ragioni del nostro viaggio nel carcere, ma soprattutto nella violenza di genere, e nel secondo raccontando il laboratorio di scrittura realizzato con i detenuti comuni. Nel terzo capitolo, Paola Iacobone, racconta invece il laboratorio teatrale nella sezione dei sex-offenders, l’incontro con Calvino e la creazione di una città invisibile dentro il luogo invisibile per eccellenza.
Nel quarto e ultimo capitolo infine, Simona Perrone ha rielaborato i dati raccolti nel corso del progetto, a cui si è accompagnato un percorso psicologico che ha dato modo ai partecipanti di riflettere sull’esperienza svolta, ma anche sulla loro personale condizione.
I testi
All’interno del libro sono stati inseriti i testi prodotti dai partecipanti al progetto. I detenuti – lontani da casa e dagli affetti, privati della libertà personale – hanno potuto mettersi nei panni delle Altre: le madri, le amanti e le figlie che popolano le loro esistenze; le protagoniste dei propri desideri; le destinatarie di amori e passioni; le vittime di cui le cronache purtroppo continuano a pullulare.
Quel Femminile reale variegato e complesso che resta escluso dal loro vissuto quotidiano.
Nei testi scritti dai detenuti si leggono in controluce le contraddizioni che segnano il rapporto tra uomini e donne: farle emergere, individuarle come tali, smontarne le fondamenta stereotipate, mostrare i trucchi e le trappole del linguaggio, svelare le derive sessiste dell’immaginario collettivo, si è rivelato un percorso prezioso. Così come offrire in dote lo strumento della parola per mediare in caso di conflitto.
Vale la sintesi offerta da un detenuto: «Se ognuno di noi, prima di fare una cosa qualsiasi si fermasse a pensare prima, giusto una frazione di secondo, e guardasse il tutto da un altro punto di vista, non commetterebbe tanti errori. Perché la parte buona che c’è dentro ognuno di noi è superiore alla parte “cattiva” che pure c’è». È la lezione di Calvino: imparare a riconoscere in mezzo all’inferno, dentro e fuori di noi, ciò che inferno non è, e farlo durare e dargli spazio.